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Ho spaccato ancora tutto. Versione 10!

Ebbene sì, quella che avete sotto gli occhi è la larva della versione 10 di giobi.com.
Le altre sono sparite, risucchiate dallo smegma internettistico (non è vero, per esempio potete ammirare la precedente versione che è durata un po’ poco.
Avevo d’altronde bisogno di tornare a scrivere e non ero molto ispirato a vedere la precedente, non mi piaceva, a parte quel bell’header giallo.
Detto questo spero che dalla fase beta passi tutto a un’ottima fase definitiva con tutte le scritte in italiano un sacco di foto e sezioni rapidamente raggiungibili.
Kudos e web2.

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inside

Svegliarsi il giorno dopo

“Le montagne sembrano scalinate verso il cielo” ho pensato.

C’era un silenzio innaturale, le 7 e mezza di sabato mattina a causa del jet lag.. Un silenzio per me, le macchine passavano come sempre sono passate sotto la finestra, e gli uccellini cinguettavano sciallo con un riverbero molto ampio, ma c’è sempre stato quel megariverbero? Credo di si.. ma tutto era così tranquillo, mi sembrava di essere ancora sull’aereo; in India non vedevo montagne, e non c’era mai un attimo di silenzio nè di giorno nè di notte.. invece ora mi alzo, apro la finestra – in India era sempre aperta – faccio un respiro profondo privo di profumi e puzze se non un vago sentore di aria, osservo le montagne velate di nubi – in India se c’era umidità stava arrivando il temporale – e mi rendo conto di essere a casa.

Sembra di essere usciti da una festa, un sacco di gente che balla puzza fa casino ti urta ti tocca, ti parla e ti guarda, e tu ricambi tutto questo. Poi è ora di andare a casa, saluti quelli che riesci a salutare perché non hai tutto il tempo che vuoi, chiudi la porta e senti la testa un po’ sibilante per il rumore che c’era dentro, un sollievo di non essere più in quel caldo e in quel rumore a tratti eccessivo, apprezzi i grilli del giardino appena fuori e senti ancora le frequenze basse della musica dentro.. ma dall’altro lato hai già un po’ voglia di rientrare, nonostante il vino che ti fa girare ancora la testa. Paziente ti incammini verso casa, apprezzi la notte che ti avvolge e apprezzi il passato appena passato.

Questo si sentiva lì dalla finestra, e le montagne sembrano sì scale verso il cielo. A Benares le montagne non si vedono, nonostante a qualche centinaio di chilometri ci sia il Tetto del Mondo. La comunicazione con dio è il Gange, un fiume che per sua natura sta nel luogo più basso della zona, qui le montagne invece sono in alto (le montagne sono sempre in alto direi), e davvero la prima impressione era che fosse una salita verso il cielo, una possibilità di vedere quello che stava “oltre”.

È bello tornare a casa, almeno quanto è bello ripartire 🙂

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Partire, viaggiare, viaggiare partire

Viaggiare partire viaggiare e non fermarsi mai, chilometri chesotto il culo passano e allontanano i guai.. lo diceva Jovanotti più di dieci anni fa ormai, non sono mai stato un gran viaggiatore.
Però dopodomani (domani tra 4 minuti) prendo e vado ciao.. Vi saluto tutti e saluto su, prendo il treno e non ci penso più. L’aereo in realtà, con le sue belle ore di viaggio. Dal decollo del primo aereo all’atterraggio dell’ultimo ci passano.. uhm.. 24 ore circa.
Per l’occasione, si noti, ho anche rinnovato la facciata del sito, spero sia più navigabile. qui sotto troverete le ultime foto del viaggio e gli ultimi post del mio e degli altri blog.. Buona navigazione per ora 😉

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free hugs

mi sono quasi commosso

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Wear sunscreen.

Wear sunscreen.

If I could offer you only one tip for the future, sunscreen would be it. The long-term benefits of sunscreen have been proved by scientists, whereas the rest of my advice has no basis more reliable than my own meandering experience. I will dispense this advice now;

Enjoy the power and beauty of your youth. Oh, never mind. You will not understand the power and beauty of your youth until they’ve faded. But trust me, in 20 years, you’ll look back at photos of yourself and recall in a way you can’t grasp now how much possibility lay before you and how fabulous you really looked. You are not as fat as you imagine.

Don’t worry about the future. Or worry, but know that worrying is as effective as trying to solve an algebra equation by chewing bubble gum. The real troubles in your life are apt to be things that never crossed your worried mind, the kind that blindside you at 4 p.m. on some idle Tuesday.

Do one thing every day that scares you.

Sing.

Don’t be reckless with other people’s hearts. Don’t put up with people who are reckless with yours.

Floss.

Don’t waste your time on jealousy. Sometimes you’re ahead, sometimes you’re behind. The race is long and, in the end, it’s only with yourself.

Remember compliments you receive. Forget the insults. If you succeed in doing this, tell me how.

Keep your old love letters. Throw away your old bank statements.

Stretch.

Don’t feel guilty if you don’t know what you want to do with your life. The most interesting people I know didn’t know at 22 what they wanted to do with their lives. Some of the most interesting 40-year-olds I know still don’t.

Get plenty of calcium. Be kind to your knees. You’ll miss them when they’re gone.

Maybe you’ll marry, maybe you won’t. Maybe you’ll have children, maybe you won’t. Maybe you’ll divorce at 40, maybe you’ll dance the funky chicken on your 75th wedding anniversary. Whatever you do, don’t congratulate yourself too much, or berate yourself either. Your choices are half chance. So are everybody else’s.

Enjoy your body. Use it every way you can. Don’t be afraid of it or of what other people think of it. It’s the greatest instrument you’ll ever own.

Dance, even if you have nowhere to do it but your living room.

Read the directions, even if you don’t follow them.

Do not read beauty magazines. They will only make you feel ugly.

Get to know your parents. You never know when they’ll be gone for good. Be nice to your siblings. They’re your best link to your past and the people most likely to stick with you in the future.

Understand that friends come and go, but with a precious few you should hold on. Work hard to bridge the gaps in geography and lifestyle, because the older you get, the more you need the people who knew you when you were young.

Live in New York City once, but leave before it makes you hard. Live in Northern California once, but leave before it makes you soft. Travel.

Accept certain inalienable truths: Prices will rise. Politicians will philander. You, too, will get old. And when you do, you’ll fantasize that when you were young, prices were reasonable, politicians were noble and children respected their elders.

Respect your elders.

Don’t expect anyone else to support you. Maybe you have a trust fund. Maybe you’ll have a wealthy spouse. But you never know when either one might run out.

Don’t mess too much with your hair or by the time you’re 40 it will look 85.

Be careful whose advice you buy, but be patient with those who supply it. Advice is a form of nostalgia. Dispensing it is a way of fishing the past from the disposal, wiping it off, painting over the ugly parts and recycling it for more than it’s worth.

But trust me on the sunscreen.

[everybody’s free (to wear SUNSCREEN), Baz Luhrmann]

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forgiveness

ha preso la mia testa tra le mani, e mi ha detto ‘il signore ti perdona da tutti i tuoi peccati’.
e sono scoppiato a piangere.

c’era una volta un pesce rosso che abitava in fondo al mar
fa’ o signore che il mare sia profondo
e protegga il mio piccolo cuor
c’era una volta una formica che portava il suo chicco di grano
fa’ o signore che il grano sia leggero
e proteggi il mio piccolo cuor.

proteggi i nostri piccoli cuori.

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moment of being

zoom out

una notte, tanto tempo fa, anzi era il 2003. due ragazzi stavano abbracciati in un matrimoniale. anzi, un ragazzo e una ragazza. una dolce estate, una storia già piena di casini la loro. molti litigi in mezzo, gelosie a non finire. ma si sa, chi non risica non rosica, e loro risicavano, si rosicavano e un po’ rosicchivano qualcosa dalla vita. quella notte, la prima volta di alcune cose, ne azzeccarono una.
chiaramente non dormirono tutta la notte come spesso capita quando i ragazzi possono dormire assieme.

tra l’emozione, tra le cose da fare, e anche il non essere abituati a dormire con qualcuno di fianco, non ce l’avrebbero fatta.
ma, dicevo, quella notte ne azzeccarono una. o meglio lui le raccontò una storia e lei si commosse nell’ascoltarla, rendendo a lui la felicità del raccontarla e la consapevolezza di aver reso felice qualcuno – il meccanismo di feedback dell’universo, quindi, funzionava – e quindi adempiendo al compito degli esseri umani: inventare storie.

le raccontò una storia di due ragazzi in un letto che si abbracciavano, e si raccontavano una storia. poi la trama si allontanava da questo fatto. si alzava dal letto in cui erano, vedendoli dal soffitto, e poi usciva dalla casa, vedeva la grande casa in cui loro erano piccoli, la vedeva dall’alto, ne vedeva il tetto dalla forma regolare, il grande giardino da cui era circondata. chi la ascoltava questa storia subito notava il forte contrasto tra i ragazzi, che prima erano tutta la storia, e la loro piccolezza in confronto a quella grande casa, il salto era notevole, e già spaventava. specie per il meccanismo di identificazione insito dalla nascita in tutti. faceva capire la piccolezza.

incredibilmente si poteva fare di più. vedere l’intera città e la casa con dentro i ragazzi. la cosa faceva chiaramente più paura, anche se non era proprio paura, era più quel sentimento di grande vuotezza, o pienezza, che riempie ciascun cuore quando sembra che voglia scoppiare dalle sensazioni che rimbalzano dentro, come uno yin-yang (non me ne vogliano gli orientalisti).

se non si erano persi di vista i ragazzi all’interno della città, li si sarebbe persi di vista adesso che si cambiava città e si andava a trovare le persone che ad essi volevano bene.

come un pacifico Dio, la storia si spostava in altre città a trovare i genitori dei ragazzi, in quattro luoghi diversi, e non in due. la storia proteggeva i sogni dei piccoli genitori, nelle loro camere nei loro letti con la piccola testa sul loro piccolo cuscino custodivano le proprie coscienze come pietre preziose e uniche all’interno del loro corpo. ognuno di essi aveva cose da dire ai ragazzi, e c’era chi riusciva di più o di meno. la notte, cornice della storia, era limpida come quella che effettivamente regnava fuori dalla casa in cuila storia stessa era raccontata.

lei si stringeva forte a lui, con la testa appoggiata sul petto, come se la velocità a cui si volava fosse eccessiva. in realtà erano sempre nello stesso letto, ma in effetti ci sono velocità che non si possono misurare in numeri. e lei andava proprio a quella velocità, a trovare uomini e donne che non la potevano sentire in quel momento. sarà stato il vento che le entrava tra le palpebre che la faceva lacrimare così, a quella quota e di notte.

non è da tutti volare senza avere ali, e qualche piccolo inconveniente come le lacrime c’è da aspettarselo.

volarono per quel che restava della notte, e poi finalmente si misero a sognare.

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moment of being

a questo penso quando piove.

piove moltissimo, stanotte, come ieri notte. e io mi sono rotolato nel letto, ieri notte, perché pioveva troppo: avevo una netta paura della pioggia e del vento. uragano, bufera.
quando si appoggia la testa sul cuscino inizia la sparizione della parte razionale di sè: ci si trasforma piano piano in animali, tutte le giustificazioni che ci si dava dirante il giorno spariscono. e così l’ululato del vento che sferza l’asfalto fa paura, una paura pressoché incontrollabile.
il cuore batteva a mille, ho provato a respirare con calma, ma credo che se i miei occhi si fossero aperti sarebbero stati quelli di un cavallo imbizzarrito.

una volta arresomi all’evidenza, mi sono alzato ed ho chiuso la finestra.
sentendo quel rumore, ad occhi chiusi, mi sembrava di essere lì fuori, forse un po’ stavo già sognando di volare fuori e essere in mezzo a quell’apocalisse. perso. una barca in mezzo all’oceano, un’anima in mezzo al temporale. quante fantasie. e quelli sono i momenti in cui mi vengono in mente riflessioni che mi sembrano grandi, che devo scrivere. e poi mi addormento, conscio che l’indomani mattina tutto sarà dimenticato.

e in quei momenti mi chiedo anche. come facciamo a vivere? come faccio di giorno ad essere abituato a tutte quelle convenzioni? il giorno, la notte, i vestiti, i computer, la bici, la moto, la macchina, genitori, gente che genera altra gente (questo si che è traumatico da pensare), il bene e il male, così gira il mondo. bene e male. assurdo che ci siano due forze in gioco, assurdo il numero due. assurdi i numeri. non hanno senso di per sè, glielo diamo noi, così come alle parole stesse, e qui divento metadescrittivo. tolta la razionalità, il Mondo diventa un ammasso di aggeggi senza nome, atomi ed energia.

a questo penso quando piove.

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il pianoforte in testa

avete una benché minima idea di quanta roba venga fuori se scrivete “pianoforte in testa” in Google? no? è allucinante il numero di siti che additano a questa cosa, ricevere un piano forte in testa. e sono ben pochi i siti che palano di pianoforte in testa in frasi tipo “poche linee di pianoforte in testa”, in massima parte si tratta proprio di pianoforti reali.
è incredibile.

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Giobi è anche una maschera popolare!!

Vai al sito in cui è testimoniata la cosa..

Sto leggendo e non riesco tutt’ora a capacitarmene.
In questo sito, brutto quanto stupefacente, vengo a scoprire che il mio nome non è unico. Il mio narcisismo subisce un duro colpo. Giobi è anche una maschera tradizionale del Gruppo Carnevalesco benefico folkloristico Cappuccini – Vercelli, una spoecia di Pacian da Intra.
Anche Luca Palmieri ha un amico che si chiama Gioby (con la Y). Devo ricordarmi di scrivergli.