piove moltissimo, stanotte, come ieri notte. e io mi sono rotolato nel letto, ieri notte, perché pioveva troppo: avevo una netta paura della pioggia e del vento. uragano, bufera.
quando si appoggia la testa sul cuscino inizia la sparizione della parte razionale di sè: ci si trasforma piano piano in animali, tutte le giustificazioni che ci si dava dirante il giorno spariscono. e così l’ululato del vento che sferza l’asfalto fa paura, una paura pressoché incontrollabile.
il cuore batteva a mille, ho provato a respirare con calma, ma credo che se i miei occhi si fossero aperti sarebbero stati quelli di un cavallo imbizzarrito.
una volta arresomi all’evidenza, mi sono alzato ed ho chiuso la finestra.
sentendo quel rumore, ad occhi chiusi, mi sembrava di essere lì fuori, forse un po’ stavo già sognando di volare fuori e essere in mezzo a quell’apocalisse. perso. una barca in mezzo all’oceano, un’anima in mezzo al temporale. quante fantasie. e quelli sono i momenti in cui mi vengono in mente riflessioni che mi sembrano grandi, che devo scrivere. e poi mi addormento, conscio che l’indomani mattina tutto sarà dimenticato.
e in quei momenti mi chiedo anche. come facciamo a vivere? come faccio di giorno ad essere abituato a tutte quelle convenzioni? il giorno, la notte, i vestiti, i computer, la bici, la moto, la macchina, genitori, gente che genera altra gente (questo si che è traumatico da pensare), il bene e il male, così gira il mondo. bene e male. assurdo che ci siano due forze in gioco, assurdo il numero due. assurdi i numeri. non hanno senso di per sè, glielo diamo noi, così come alle parole stesse, e qui divento metadescrittivo. tolta la razionalità, il Mondo diventa un ammasso di aggeggi senza nome, atomi ed energia.
a questo penso quando piove.