Ennesimo moment of being? Bè, forse spalmato su più giorni ma direi di si.
Scendi, vai alla moto e lo vedi lì, come al solito ad aspettarti. Ventitrè, anni che ci stai sotto e lui non si muove, instancabile realtà che a quanto pare non cambierà da quando sei nato a quando sicuramente morirai. Il cielo, chiaramente.
Ovvie le religioni che lo legano a Dio, dicendo che il cielo è la casa dell’Essere supremo, o che il cielo stesso è una sorta di divinità.
È che ultimamente il pensiero si allarga, a causa sicuramente di qualche avvvenimento interiore, ma anche grazie all’aiuto esterno di questo vento di fine ed inizio anno, vento ceh ha pulito tutto: ha spazzato via le nuvole nel giro di una notte. La notte porta consiglio, e solo adesso che scrivo mi rendo conto dell’unità tra questi fenomeni. L’inizio di un anno nuovo sulle ceneri di quello vecchio (sulle fondamenta preferirei dire), il vento che spazza via tutta l’umidità, il cielo terso che mi accoglie fuori da casa di Garci mentre tiro fuori le chiavi dalla tasca.
Quando ripenso a certi momenti, vicini o lontani, tanto più è stata intensa la sensazione quanto più il momento è lento, lo rivedo al bullet-time (cara matrix, quanto mi hai insegnato..) rivedo il cielo, e risento quel profumo intenso di Favonio, e rivivo in un attimo molti minuti di vita.
Mi è stata concessa la grazia di avere un naso degli occhi delle orecchie delle mani e una bocca funzionanti, ma non solo. Mi è stato anche concesso di vivere in un posto in cui posso sentire il calicantus e il vento a gennaio, esplodendo di emozione per la velocità del pensiero, che mi porta in altri luoghi mentre sono lì.
Scherzi della poetica, ti transformi in un altro tempo vivi un altro luogo.
È lontano il tempo della meteopatia, quando avevo timore che l’estate finisse per non dovere affrontare giorni bui e freddo, niente più biciclette gelati e lago.
Sto apprezzando tantissimo quest’aria fredda, l’indossare due paia di pantaloni e due magliette, il vivere in una sera perenne. Non che non voglia l’estate, no.. bisogna accettare le stagioni così come vengono, è un allenamento per accettare le proprie di stagioni. Abbiamo la fortuna di poterne vedere tante, vedere che le foglie cadono, che i fiori appassiscono per dare frutti e poi muoiono per dare semi.
Romanticamente poi, sempre fisso a guardae il cielo, pensi che le stelle ci osservino con i loro occhi di stelle e pensino con i loro nuclei fatti di Elio, vedendo i nostri cicli ed imparando ad amarci, o per lo meno ad amare il fenomeno della vita che si rinnova. Perché anche loro, per quanto ne abbiamo capito noi poveri esseri limitati, devono morire prima o poi.
E forse a sua volta l’universo, con i suoi occhi di universo e il suo cuore di vuoti e di pieni osserva le sue figlie esplodere fragorosamente e riaggregarsi silenziosamente, e chissà forse lui no non muore. Alcuni di noialtri dicono di si, ma cosa cacchio vuoi dire si o no? È evidente, siamo proprio esseri umani e niente di più.
E io, ancora lì con il naso in alto, osservavo un luna che illuminava a giorno il monte rosso.
Fottuta luna, quante poesie. La sua potenza è quella di essere una, come il sole. Sarebbe stato facile che ce ne fossero state altre, ma no, una sola. Un sistema solare con una sola stella e noi, il terzo pianeta, un solo satellite. Ci sono altri pianeti nel sistema con una solo satellite?
Ogni tanto è carino lasciare perdere le coincidenze e vedere come tutto sembra fluire verso una sola direzione.
Un vuoto pieno perfetto, sembriamo scritti in un libro.
Buonanotte cielo e anche a tutto quelo che ci sta sotto.
E anche sopra, Elisa.