Delirio di musica e danze.
Mese: Marzo 2008
L’infermiere
gli attrezzi dello scalfi
Se l’occasione è buona aiutare mi riempie come una borraccia sotto una fontana, non c’è niente da fare.
Sentire di essere utile fino allo sfinimento mi riempie della vita degli altri, vivo vite altrui e vivo attraverso gli altri. Quindi vivo due tre quattro volte in una volta sola, e provo la comunanza spirituale tanto agognata in tutti i momenti della mia vita, ed è questo quello per cui mi piace vivere spesso: vivere vite altrui e sentirmi accumunato ad altri, anima mundi.
Look after your sisters and brothers, it’s such a small World
and they keep saying it’s such a small World
non così grosso da non permettermi di girarci intorno per lo meno 🙂
Karen ci canta la sua bella canzone in una serata sciallo. Canzone di cui non ricordo il nome, forse Stolen away from you. (Rubato da te).
Vai Karen a te la linea.
Stanotte non ho dormito. Avevo sonno ma avevo il cuore che esplodeva di cose da dire, così le ho detto continuamente su internet a tutti quelli a cui dovevo dirle, così la notte è passata tra una parola e l’altra, inframezzata da una passeggiata sotto le stelle con persone che non mi conoscono ma mi stanno vicine.
Inframezzata da una permanenza di alcuni minuti sotto un cielo disumano, di quelli in cui si vede molto chiaramente la via lattea, con stelle cadenti, con odore di campagna. Guardandolo ho avuto l’impressione che stavo capendo qualcosa di più dell’Universo, un bonus che mi è stato concesso per pochi secondi, poi sono tornato in macchina.
Poi a un certo punto dopo essere arrivato a casa ho detto ok vado a dormire, e ho alzato gli occhi dal computer.
Albeggiava, lo stronzo. Il sole stava colorando la parte più bassa dell’orizzonte di un gradevolissimo azzurro. Non potevo rifiutare l’invito, era una cosa di rappresentanza almeno, se non mi fossi presentato non mi sarei poi più potuto presentare alle segueti albe e tramonti.
Ho messo il maglione e ho preso la mia fedelissima Lumix, ho corso.
Ho corso con molto più fiato di quello che avrei potuto avere, non aveva senso. Erano le 6 e mezza di mattina, ho corso davvero come una bestia sia come velocità che come portata della corsa. Sono andato a Hillcrest, la strada sulla cresta della collina, una strada che sembra vada dritta su per il cielo, e mi sono infilato in una stradina privata.
Poi mi sono appollaiato su un trespolo, sono stato un’ora, cacchio un’ora è davvero tanto, ad aspettare che la linea luminosa diventasse più forte. Era davvero un po’ snervante, stancante.
Dopo un po’ è arrivato uno in macchina, avrà avuto la mia età. In Nuova Zelanda non è comune vedere uno appollaiato su un palo fuori da casa tua, ma è molto comune salutare persone che non conosci e chiedere come stanno. Mi mancherà moltissimo questo. Così mi ha salutato e mi ha cheisto come stavo. Io stavo bene, e anche lui, probabilmente tornava da qualche festa. Lo ho fermato e gli ho chiesto di farmi questa foto.
Grandioso.
Alcuni minuti dopo è uscita una ragazza dalla casa di fronte e mi ha detto “Ehiiiiii how are you?” – è stata molto cordiale e simpatica, mi ha spiegato che andava ad Auckland per un corso universitario e che di solito non si svegliava a quell’ora.
Ho ringraziato il sole per quei due tizi insomma, e poi ho visto il filo dorato all’orizzonte. Ho pensato: oh, finalmente.
E mentre pensavo “finalmente” di colpo sono scoppiato a piangere, senza preavviso. Fottuto sole.
Non pensavo si piangesse davanti alle albe, e invece cazzo si. Assurdo, non è un viso, non è una situazione, è solo il sole che sale. È bello, non è commovente. E invece era davvero commovente, al di là della situazione.
E così è andata, sono tornato a casa, stanco e felice.
E ho pensato a una cosa molto facile:
ogni tramonto un’alba.