Giocavo molto a solitario, quando mio padre aveva sostanzialmente vietato qualsiasi tipo di videogioco e sbavavo per l’informatica.
A un certo punto ero diventato bravissimo, velocissimo, giocavo al livello di difficoltà più alto, e lì ho realizzato cosa mi faceva andare avanti a giocare: una sensazione di piacere a livello della bocca dello stomaco, inspiegabile in un gioco così semplice. Succedeva ogni volta che cliccavo sulle carte in lato a sinistra, scoprendo quello che dovevo pescare. L’aspettativa, la promessa di una nuova soluzione, il fatto che il gioco sarebbe andato avanti.
A una seconda analisi mi resi conto di qualcosa di più: io dietro quella carta, sotto quel dorso, mi aspettavo qualcosa di molto più grande. Non saprei dire cosa, ma del cioccolato magari – delle tette. Un qualcosa che mi avrebbe dato una gioia oltremodo superiore rispetto a una semplice carta, digitale oltretutto, su uno schermo a 17 pollici. Il girare la carta era l’accesso a un mondo metafisico, a un concetto: a un’idea pura – con annesas un’inevitabile perpetua delusione, anche se non razionale.
E oggi, quali sono le carte da girare? Uscire la sera? Il matrimonio? Scappare in un paese lontano?